giovedì 22 settembre 2016

Recensione #149 - La stranezza che ho nella testa di Orhan Pamuk

Buongiorno lettori, eccomi di nuovo qui con una recensione. Sono stata molto fortunata nell'ultimo periodo perchè a parte un paio di ni, ho trovato sempre libri molto belli! Speriamo di continuare così peril resto dell'anno. Oggi vi parlo del libro La stranezza che ho nella testa di Orhan Pamuk edito da Einaudi, pag. 584

Sinossi: Un ragazzo ama una ragazza. Tutte le storie, anche quelle piú complicate, nascono da questa semplice, universale premessa. Mevlut l'ha incontrata una sola volta: i loro sguardi si sono incrociati di sfuggita al matrimonio di un parente a Istanbul. Eppure è bastato quell'attimo di perfezione e felicità a farlo innamorare. Süleyman, il cugino, gli ha detto che delle tre figlie di Abdurrahman, quella che ha visto Mevlut, quella di cui si è innamorato, è senz'altro Rayiha. Da allora non l'ha piú rivista ma, per tre anni, Mevlut le scrive le lettere piú appassionate che il suo cuore riesce a creare. Finché un giorno capisce che l'unico modo di coronare il suo sogno è scappare con Rayiha, di fatto rapendola dalla casa paterna in cui è rinchiusa. Cosí, una notte di tempesta, mentre Süleyman aspetta con un furgone in una strada poco lontana, Mevlut e la sua amata si riuniscono. Nulla potrà andare storto ora, nulla potrà piú dividerli, pensa lui. Poi un lampo illumina la scena e rivela il volto di Rayiha: quella non è la ragazza a cui Mevlut ha creduto di scrivere per tutto quel tempo, non è la ragazza di cui si è innamorato a prima vista tre anni prima! Chi ha ingannato Mevlut? E come si comporterà ora il nostro eroe? Questa è la sua storia, caro lettore: la storia di Mevlut Karataþ, venditore di boza (la bevanda, leggermente alcolica, tipica della Turchia), lavoratore indefesso, inguaribile ottimista (qualcuno direbbe ingenuo), sognatore, profondo conoscitore delle strade e dei vicoli di Istanbul. Perché questa è anche la storia di una città e del tempo che l'attraversa, una saga grandiosa e potente degli individui e delle famiglie che lottano, si alleano, si amano e si dividono per trovare il proprio posto nel mondo. Il premio Nobel Orhan Pamuk ha fatto della sua città, Istanbul, il personalissimo teatro in cui mettere in scena l'universale dei destini umani. Con La stranezza che ho nella testa ha saputo scrivere un romanzo rutilante in cui le storie piccole di uomini e donne comuni hanno la forza irresistibile della Storia di tutti.

Ho conosciuto Orhan Pamuk grazie al libro Il mio nome è rosso – recensione qui – che avevo acquistato per sbaglio ed avevo amato. Mi ero ripromessa di leggere qualche altro suo libro e neanche a farlo apposta un’amica mi ha regalato a Natale il suo La stranezza che ho nella testa edito da Einaudi.
Pamuk – premio nobel per la letteratura nel 2006 – non è di certo un autore semplice ma si fa apprezzare per gli spaccati della vita Turca che sa regalare attraverso le sue opere.
Anche in questo caso l’ambientazione è quella di Istanbul e dei villaggi vicini.
Protagonista della storia e Mevlut che, al matrimonio del cugino, incrocia lo sguardo di una bellissima ragazza e se ne innamora perdutamente. Non sa nulla di lei, se non che è una delle sorelle della sposa. Grazie al cugino scopre il suo nome ed inizia a scriverle meravigliose lettere d’amore.
Sono gli anni Ottanta del secolo scorso, Mevlut e suo padre vivono ad Istanbul, da soli, per cercare fortuna. Le sue giornate sono scandite dai passi che compie per le strade della città, con il suo carretto, a vendere Boza. I sogni di Mevlut sono tanti, ma spesso i sogni restano sogni ed il ragazzo dovrà presto abituarsi alla povertà. Nelle sue condizioni, il padre della sua amata non gli concederà mai la figlia in sposa quindi, in accordo con la ragazza – come spesso succede – la rapisce per avere così la possibilità di sposarla.
Tutto è deciso, Süleyman – il cugino di Mevlut – gli farà da spalla e tutto andrà per il meglio… più o meno. Immaginate lo sgomento dell’uomo quando, la notte del rapimento, incrociando lo sguardo che sogna da anni, si rende conto che la ragazza cui lui ha scritto non è quella di cui è innamorato. Chiunque avrebbe dato di matto ma non Mevlut che si rende conto di essere stato imbrogliato dal cugino ma non ormai non può più tirarsi indietro.
Comincia così questa storia particolare. Con un rapimento e l’inizio di un matrimonio. Certo, direte voi, il matrimonio tra una donna ed un uomo che non la vuole. L’ho pensato anche io all’inizio ma solo perché non è nella nostra ottica di occidentali pensare ad un matrimonio iniziato senza amore; in questa storia invece Pamuk ci mette di fronte alla “normalità” di combinare i matrimoni, unioni che prendono forma ed acquistano amore con il passare del tempo, proprio come succederà presto al matrimonio tra Rayiha e Mevlut.
Dalla sinossi ero convinta che questo fosse il fulcro di tutto; certamente lo è, se lo intendiamo come punto di partenza per la narrazione, ma l’autore lo utilizza principalmente per raccontarci uno spaccato di più di 40 anni di vita di una famiglia in una Istanbul nel pieno del cambiamento. Questo cambiamento lo vivono sulla loro pelle i protagonisti della storia ed il lettore ne assisterà ogni minimo dettaglio. Ci verrà raccontato il prima, il durante ed il dopo, senza tralasciare nulla della vita dei molteplici personaggi, di cui l’autore ci regala un albero genealogico ad inizio libro.
Una narrazione particolare quella che sceglie Pamuk, in cui spesso – così come già succedeva in Il mio nome è rosso – si rivolge direttamente al lettore, e in cui le voci sono molteplici, realizzando una narrazione corale, lasciata spesso ai diversi protagonisti della storia. Ad ognuno dei personaggi è infatti spesso lasciata la parola in prima persona, alternata a parti generali in terza persona in cui l’autore introduce o analizza le situazioni. Di certo questo tipo di scelta permette all’autore di alleggerire dei punti in cui altrimenti il libro sarebbe forse risultato un po’ pesante.
Non è una storia semplice da leggere, non è uno di quei romanzi che possono essere presi in mano nei ritagli di tempo ma è un volume che, anche per la sua mole, richiede impegno e attenzione.
Io purtroppo l’ho preso in mano in un periodo in cui avrei avuto bisogno di qualcosa di più breve e meno impegnativo - avendo pochissimo tempo a disposizione causa ripresa al lavoro, nuove attività sportive di mio figlio e soprattutto inizio della prima elementare - quindi in alcuni momenti ho faticato, soprattutto nelle parti un po’ troppo dettagliate sulla religione o storiche; ovviamente un libro del genere non poteva esimersi di scendere nel dettaglio su alcuni particolari ma, forse, alcune parti potevano essere alleggerite.
Detto questo ho trovato la storia veramente coinvolgente, seppur lontana anni luce dalla nostra concezione di vita, ma proprio per questo sono stata rapita dalla vita dei personaggi e dai loro modi di reagire e di porsi nelle diverse situazioni. Un amore sconfinato quello di Mevlut verso la moglie, le figlie, il lavoro, le tradizioni.
Un libro che fa sicuramente riflettere e che permette di assaporare le atmosfere di una cittadina come Istanbul e le sue tradizioni.

 VOTO: 



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